Un nome, Lucrezia, vario di sonorità diverse, tra consonanti e vocali, che evoca qualcosa di affascinante, antico e straordinario
Chi ci ha avuto a che fare non può dimenticare Lucrezia. Un nome che ovviamente evoca la celebre duchessa di Ferrara dei tempi del Rinascimento. Colei che governò dimostrando eccellenti qualità di amministratrice. Oggi in quella stessa zona, ovvero nel Delta emiliano, al nome di Lucrezia corrisponde però altro. Non una donna, non una duchessa, ma in qualche modo una principessa. Già perché per quel nome ‘Lucrezia’ se l’è dovuto guadagnare.
C’è da dire che l’accorta nobildonna italo-spagnola è stata rivalutata recentemente, per toglierle l’ingiusta nomea di machiavellica avvelenatrice, derivata dalla tragedia di Victor Hugo e dall’opera di Gaetano Donizetti. Merita certo di essere restituita alla sua effettiva storia, cui non mancano aspetti positivi. Per questo, è stato fra l’altro pubblicato pochi anni fa un volume intitolato ai “Tesori di Lucrezia Borgia d’Este”, in particolare sul guardaroba e i gioielli, trovati nell’Archivio Segreto Estense. E tra i gioielli spicca metaforicamente una prelibatezza culinaria, che sta esercitando notevole curiosità.
Una specialità italiana nata da tre anni di ricerche
Lucrezia infatti è ricca di sfumature, come personaggio storico certamente, e come ostrica ugualmente affascina. La si può ordinare in ristoranti prestigiosi: il mercato ittico infatti la sta premiando. Viene coltivata in una valle di sessanta ettari, che si estende nei paraggi di Comacchio, figlia di una sperimentazione durata tre anni e voluta da Enrico Bergaglia di Finittica e da Gian Marco Zanotino di I wai food. E’ stato selezionato un territorio dalle caratteristiche organolettiche che avrebbe potuto essere assolutamente unico e altrove irriproducibile, per generare un prodotto studiato appositamente per deliziare il palato.
Soltanto in quell’area del Delta del Po, tutt’altro che nuovo a segnalarsi per la propria creatività, è disponibile una simile ricchezza di fitoplancton e di sali. Si parla infatti di coltivazioni agricole in mare: un’assurdità, per chi ignorasse l’esistenza del Delta del Po, teatro di vere e proprie meraviglie paesaggistiche e gastronomiche. L’incrocio fra microclima, vegetazione, acque e territorio è stato analizzato meticolosamente, per scegliere il tipo di ostrica adatto ad esaltare le qualità del luogo.
Il primo assaggio ha subito appalesato qualità sinfoniche: la sintesi è stata trovata, con la benedizione dei fattori naturali che hanno concorso all’impresa. Era proprio il caso di tentare questa sperimentazione, dato che gli italiani sono grandi consumatori di ostriche, con ben seimila tonnellate di prodotto importato e i francesi che sbandierano i loro gioielli. Lucrezia ha la forza di reggere di fronte a una concorrenza tanto agguerrita. Inevitabile dunque l’incoraggiante risposta del mercato.