Forse avrete già notato che tra gli scaffali del supermercato c’è qualcosa che non va: leggete per non farvi ingannare dal trucco più in voga tra le case produttrici
La crisi ha colpito tutti, famiglie e single, lavoratori e pensionati. Ha colpito anche i produttori degli alimenti consumati dagli italiani, che stanno giocando sporco. A rimetterci, sono i nostri portafogli, che si alleggeriscono.
Il neologismo shrinkflation deriva dall’unione di due termini inglesi: il verbo “to shrink” che vuol dire restringersi, e “inflation” che vuol dire inflazione, ovvero la crescita generalizzata dei prezzi. L’inflazione è una realtà a cui ci stiamo adattando e che stiamo sperimentando tutti, chi male chi meglio, con l’aumento delle bollette e del costo della vita in generale.
Ma forse avrete notato anche tra gli scaffali del supermercato qualche aumento inaspettato, o qualche trucco non proprio trasparente. Non state sognando: il fenomeno della shrinkflation è reale, e vi spieghiamo subito di cosa si tratta.
La shrinkflation è la tendenza dei produttori a mettere in commercio confezioni più piccole, o dal contenuto ridotto, a parità di prezzo. In sostanza, il prezzo non diminuisce al diminuire del contenuto del formato. Delle volte va anche peggio: diminuisce la quantità di prodotto, e il prezzo aumenta.
Cos’è la shrinkflation: qualche esempio
È più probabile che ci accorgiamo del fatto se sono prodotti che acquistiamo abitualmente, ma a molti consumatori passa del tutto inosservato. È proprio lì il trucco: cambiamenti quasi impercettibili per il cliente in realtà sono tutti risparmi per l’azienda.
Un’indagine di AltroConsumo, l’associazione per la protezione e tutela dei consumatori, ha raccolto migliaia di segnalazioni. Qualche esempio? La Philadelphia Light, la cui confezione è passata da 200 a 190 grammi senza alcuna variazione di prezzo; lo stesso per i Krumiri Bistefani (da 300 a 290 grammi), e il detersivo per i piatti Nelsen (da 1 litro a 900 millilitri).
Un’altra declinazione della shrinkflation è quella in cui si propongono linee “speciali” di un certo prodotto, con quantità nettamente minore rispetto alla versione classica, ma allo stesso identico prezzo (se non maggiore). Questo serve a confondere il consumatore, che si trova di fronte a confezioni di dimensioni molto simili ma dal contenuto e prezzo completamente diversi.
Un esempio? La Barilla vende un pacco di fusilli nel formato standard da 500 grammi a 0,99€, laddove un pacco di integrali dello stesso formato ne costa 1,29€. Se si sceglie invece la nuova linea trafilata al bronzo, la confezione è venduta a ben 1,35€ per soli 400 grammi di prodotto, 100 in meno rispetto alle altre varianti.
Cosa fare per difendersi da questa pratica scorretta
A complicare ulteriormente la situazione, il fatto che non vi sia trasparenza sulle etichette riguardo la differenza di taglia e prezzo tra diversi formati dello stesso prodotto a seconda del supermercato cui ci si rivolge. Ci si aspetta di pagare meno, al chilogrammo, un prodotto in una grande confezione rispetto ad una piccola, ma alcuni punti vendita ne sono sforniti, costringendo il cliente a pagare di più per una quantità minore.
Come ci difendiamo dalla shrinkflation? Controllando sempre il formato (vale a dire, peso e volume) del prodotto che ci stiamo portando a casa, e controllando sempre il prezzo al chilogrammo o al litro, in modo da non farsi confondere da diversi formati, confezioni e misure.
Ad ogni modo, l’Antitrust ha avviato un’istruttoria per valutare se le strategie adottate da questi produttori possano costituire pratica commerciale scorretta, violando così il Codice del Consumo. Staremo a vedere!